mercoledì 27 maggio 2015

Sestri Levante : Chiesa di San Nicolò, dove si incontra la Quadriformità di Dio ( Carlo Lamberti )

Sestri levante, gioiello incantevole della Liguria, splendida visione naturale, racchiude, fra i suoi tesori, la bella ed antica chiesa di San Nicolò dell' Isola

Come citeremo più sotto, l' articolo scritto dal profondo studioso di medioevalistica, il torinese Ezio Albrile, merita di essere letto dai sestresi  

Carlo lamberti , maggio 2015






Foto personali di Carlo Lamberti








Ecco, qua sotto, l' articolo di Ezio Albrile, con il permesso accordatomi dall' autore :



La quadriformità di Dio
Il radicarsi del verbo cristiano trascinò con sé conseguenze cosmologiche, la croce, luogo del supplizio, fondò e ripartì l’ordine delle cose in una divina quaternità, una struttura quaternaria che il magister neoplatonico Giovanni Scoto Eriugena, il grande filosofo della cristianità medievale, captò forse da quel fantastico ed esoterico compendio di arti liberali che era il De nuptis Philologiae et Mercurii di  Marziano Capella il cui sincretismo recò al pensiero intellettuale del IX secolo le chiavi di accesso ai tesori perduti della tarda antichità; un testo epocale, troppo spesso liquidato come un centone di erudizione teurgico-neoplatonica, ma che al contrario rappresentò un prezioso mysticarum doctrinarum thesaurus impenetrabilis.
Motivo trainante del libro II di quest’opera al crocevia tra filosofia e magia, sono le ordalie cui deve sottoporsi Philologia prima dello hieros gamos con Mercurio. Tra queste c’è un misterioso rito simbolico che prevede una sorta di catarsi «erudita»: Philologia deve infatti vomitare una serie quasi infinita di libri e di volumi, stigma della liberazione dalla farragine delle scienze umane e dell’erudizione libresca. Al termine di questo singolare rito purificatorio, ella si sente talmente stremata e pallida per lo sfinimento, che non può far altro che invocare l’aiuto di Athanasia/Immortalità.
La gloriosa e splendida protettrice di tutti gli dèi e dell’universo, cioè Athanasia, prende dalla madre Apotheosi per recarla a Philologia, una globosam animatamque rotunditatem, un «oggetto rotondo, sferico e vivo», un uovo che contiene i quattro elementi della physisclassica, così come enunciati nel Timeo platonico, cioè il Fuoco (exterius rutilabat, «rossastro all’esterno»), l’Aria (hac dehinc perlucida inanitate, «vuoto diafano»), l’Acqua (albidoque humore, «liquido bianchiccio»), la Terra (interiore tamen medio solidior apparebat, «appariva più consistente nel punto centrale»). Così in una stessa e unica proposizione Marziano Capella non solo trasferisce al mondo medievale la dottrina dei quattro elementi, ma si riallaccia ad una tradizione filosofico-esoterica le cui vestigia più significative si ritrovano, oltreché nelle glosse dei neoplatonici, negli scritti degli alchimisti greci e in testi orfici quali la Teogonia di Ieronimo ed Ellanico o le Rapsodie orfiche. l’Uovo non è solo un’immagine in miniatura del  kosmos bensì una animatam rotunditatem, cioè un mondo animato, vivente, una sorta di microcosmo in cui ogni singola parte corrisponde agli elementi del tutto. È l’«Uno in Tutto» sovente evocato nei papiri e nelle formule magiche: al centro troviamo la terra, mentre attorno stanno le acque celesti, che gli alchimisti greci identificano con l’Oceano cosmico, poi l’aria ed infine il fuoco celeste che avvolge il mondo in una sfera rubrescente, fiammeggiante (rutilabat).
Gli spazi del levante ligure conservano nella loro iridescente vastità infiniti tesori dell’arte romanica. Due di essi collimano con il nostro argomento: la chiesa di San Nicolò dell’Isola a Sestri Levante e quella di San Lorenzo a Portovenere.
In un panorana idillico, straniante, ma inurbato da mandrie di scolaresche e obese vacanziere teutoni, ammiriamo lo splendore di Portovenere e della chiesa di San Lorenzo, il santo graticolato. Consacrata nel 1130 da papa Innocenzo II, dell’impianto originario la chiesa conserva oggi solo frammentari elementi. Tra questi, il timpano del portale laterale sinistro è un enigmatico rilievo geometrico che ha come soggetto il quadrivium. Tre cerchi concentrici, suddivisi in quattro settori, sono attorniati da altri quattro cerchi più piccoli collocati ai punti cardinali. Una chiara indicazione della tetrapartizione del cosmo, che sulla base di precise corrispondenze cicliche si rifà al più antico simbolismo zodiacale, cioè al ricorrere del «Grande anno», il ciclo di dodicimila anni  in cui si dovrebbe compiere la cosiddetta «precessione degli equinozi». È possibile infatti suddividere il «Grande anno» in quattro partidi 3.000 anni ciascuna e trasformarlo in un immenso Zodiaco ciclico: sono le cosiddettetriplicitates, la ripartizione dello Zodiaco in quattro gruppi di tre costellazioni ciascuna, rispettivamente associate ai quattro elementi di base della creazione. È la teoria delle Grandi Congiunzioni, introdotta probabilmente dagli astrologi sasanidi.
Più plastica è la figurazione proveniente da San Nicolò dell’Isola, una chiesetta romanica sopravvissuta alla barbarie barocca. Proteso fra due rade tanto incantevoli quanto propizie, il golfo del Tigullio e il golfo del Silenzio, il promontorio dell’Isola a Sestri Levante si dispone fra i «due mari», quasi un confine spirituale fra il mondo dell’anima e le carnalità maldestramente esibite sul bagnasciuga. La chiesetta ha subito diversi rimaneggiamenti a partire da quelli seguiti all’incursione veneziana e fiorentina del 1432. Forse in origine l’edificio era privo di portale in facciata. È possibile che un ingresso di tutto rilievo fosse quello a nord, sul fianco sinistro – il primo che s’incontra salendo dal borgo – dov’è stato reimpiegato nel timpano, un notevole frammento di pluteo risalente all’VIII secolo. In esso emerge l’idea di un Dio arcaico, tetramorfo. Si sa che il tetramorfismo è un tratto fondante del credo ebraico e poi cristiano. Un Dio ibrido di leone, toro, uomo e aquila, appare ad Ezechiele (Ez. 1, 14-15), qualcosa di simile vede anche l’evangelista Giovanni a Patmos; sono i quattro viventi di Apocalisse 4, 6-7, simboli degli Evangelisti. Entrambe le visioni sono l’esito di probabili esperienze enteogene entro le quali il divino è percepito in fattezze zoo-antropomorfiche, qualcosa di simile agli spiriti che guidano i viaggi estatici degli sciamani.
Ma è anche un modo per esprimere la femminiltà di Dio: così nei testi gnostici, la parte femminile del Dio inconoscibile è chiamata Barbelo, un nome legato all’ebraico barb‛ el«Dio in quattro»; un’altra ipotesi etimologica, pur partendo da un toponimo, giunge a conclusioni analoghe: essa presuppone che il nome Barbelo sia composto dalla preposizione semitica b + il nome di luogo (= Arbela), relativo alla dea Ištar e al culto tributatogli nella città di Arbela. Secondo alcuni infatti, il nome Arbela potrebbe derivare dall’accadico ’arba ’ilu, i «quattro dèi».
Nell’insegnamento di Mani, il fondatore della «religione della luce» la religione gnostica iranica, Dio possiede simultaneamente quattro volti. Una formula di abiura in greco (PG 1, 1401) descrive il Dio manicheo nelle fattezze del «quadriforme Padre della Grandezza» (ton tetraprosōpon patera tou megethous). Questa concezione dell’essere supremo come divinità quadriforme è intimamente legata all’idea iranica dell’infinità di Dio manifestata attraverso il Tempo (Zurwān), la Luce (rōšn), la Forza (zōr) e la Bontà (wehīh). Il Tempo Zurwān (< avestico Zrvan) è una delle figure concettuali e divine più rilevanti della religiosità iranica, frammenti di una sua mitologia affiorano sin dai testi più antichi, logica conseguenza dell’incontro tra zoroastrismo e cultura babilonese. Nell’idea zurvanita del «Grande Anno» si ritrova infatti il legame con il ciclo zodiacale stabilito nel tempo limitato di 12.000 anni (suddiviso in quattro periodi di 3.000 anni), le triplicitates di cui s’è parlato.
Affine è la cosmicizzazione dello spazio figurata in Brahmā, primo elemento con Visnu e Śiva, della triade suprema (Trimurti) secondo la religiosità induista. Brahmā manifesta i mondi (sanscrito loka) racchiusi nell’universo, contemplandoli con il suo ottuplice sguardo, orientato secondo i punti cardinali; li «irrradia» con i suoi quattro volti, assiso al centro su diun fiore di loto che è sia il tuorlo dell’Uovo cosmico, sial’ombelico di ciascun mondo. Ad una medesima area di influenza indo-iranica si ha la rappresentazione di Svantevit, divinità suprema degli Slavi, così come raccontato da Saxo Grammatico: la sua statua quadricefala  con la barba e le chiome rasate, era custodita nel tempio ligneo al centro di Arkona  sull’isoladi Rügen ( Mecklenburg- Pomerania occidentale).
Non è difficile scorgere in queste rappresentazioni la parcellizzazione dello spazio astrale nei suoi elementi cardinali, secondo un modello tipicamente iranico. Nella più antica cosmografia zoroastriana, i Dodici Segni dello Zodiaco e le altre stelle e costellazioni sono schierati per contrastare l’attacco demonico dei Pianeti. Quattro astri custodiscono i quadranti della volta celeste agli ordini della Stella Polare (Bundahišn 5, 4), secondo questo schema:
Nord = Haftōring (Ursa Major)
Est = Tištar (a Canis majoris, Sirio)
Centro del cielo = Mēx ī Gāh (Polaris)
Sud = Sadwēs (α Piscis Austrini, Fomalhaut)
Ovest = Wanand (Vega)
Invisibili lacci legano le sette terre, i sette kišwar in cui è suddiviso il mondo, alle stelle dell’Orsa maggiore, a Nord (Bundahišn 2, 7), lì dove si trova il foro, il passaggio attraverso il quale Ahriman è penetrato nella creazione, contaminandola. Questo salto dimensionale si è compiuto agli albori del settimo millennio, il millennio in cui si è concretizzato l’abominevole gumēzišn, il «miscuglio» fra tenebra e luce. La funzione di Haftōring è quelladi contrastare l’attacco ahrimanico, regolando il moto delle 12 stazioni zodiacali (Mēnōg ī xrad 49, 15-21) e trattenendo sulla soglia dell’inferno le 99.999 creazioni diaboliche con l’aiuto di un egual numero di Frawahrān (< avestico Fravaši), le angeliche custodi dell’umanità. L’azione è rivolta contro il pianeta Giove (= Ohrmazd; Bundahišn 5, 4); oppure contro il pianeta Marte (= Wahrām), come leggiamo nel Škand-gumānīg Wizār (4, 32-33).
Nel timpano di San Nicolò a Sestri Levante, le croci cristiane sembrano effigiare motivi astrali, quali astri cristologici posti a difesa dell’ecumene stellare. La terra celeste è divisa in quattro regni, riflesso di una scomposizione avvenuta in un tempo anteriore. Iranismi noti al mondo medievale, se pensiamo ad esempio al Liber Aristotilis, un compendio astrologico composto da Ugo di Santalla nel XII secolo. Nel testo è raccolto un testo cosmologico in pahlavi (la lingua dei testi zoroastriani) tradotto in arabo da Māšā’Allāh (Bassora 740-815 ca.); esso non solo conserva il lessico iranico nei nomi di alcune stelle, ma ne precisa l’identità astronomica. La stella Sanduol di cui leggiamo nel libro III è la resa latina diun’imprecisa trascrizione araba del pahlavi Sadwēs, a sua volta derivato dall’avesticoSatavaēsa- (< medo *Satavaisa-) cioè α Piscis Austrini = Fomalhaut, l’astro posto a tutela del quadrante Sud del cosmogramma zoroastriano.
Nella singolare figurazione di San Nicolò dell’Isola e di altre analoghe tratte dall’arte romanica rivive l’arcana guerra astrale fra Costellazioni (ahuriche) e Pianeti (ahrimanici). A Nord, presso Haftōring (Ursa Major), si trova l’Inferno, l’orifizio attraverso cui le armate diAhriman sono dilagate nel nostro mondo. Si tratta di un immagine efficace per spiegare le origini del male e localizzare le soglie degli inferi.
Una metafora perfezionata nel cristianesimo secondo i parametri dell’immortalità astrale: lo Zodiaco è la via percorsa dalle Anime e i quattro angeli del mondo (Michele, Rafaele, Gabriele, Uriele) ne vegliano la traslazione in Dio. L’anima, soffio impalpabile, si muove nel cosmo sospinta dai venti: il vento delle anime serrate nell’avvicendarsi delle morti e delle nascite, e il vento della salvezza. La tetramorfia angelica esprime in ambito cristiano una medesima cosmicizzazione dello spazio: la terra astrale è nelle concezioni iraniche una delle tappe nel conseguimento del Paradiso luminoso. Presso l’Orsa Maggiore sta l’inganno infero e le Costellazioni proteggono le quattro regioni dal tracimare di tale nefanda forza. Si riproducono quindi nella volta celeste i territori frequentati dall’anima nell’aldilà. Nei manufatti romanici di San Nicolò e di San Lorenzo rivivono quindi queste fascinazioni levantine, oggi smarrite in un territorio tracimante bellezze d’arte e un popolo satollo di tette e culi. Un dilemma tutto italiano che oggi sembra felicemente risolto da una politica culturale fatta di suadenti parole e celebrazioni del nulla.

Visualizzazione di San Nicolò dell'isola lunetta13.JPG



Visualizzazione di San Lorenzo portale7.JPG








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